Io sono Marco Cavallo

Chi è quel cavallo bianco in mezzo alla piazza di Cotignola tra lanterne decorate ed illuminate?
E’ Marco Cavallo. Risponde Bérca a quelli del Circolo.
Marco chi?
Non lo so. Dice lui

Di chi è figlio? Chiede un altro
“E’ figlio dei matti del manicomio di Gianfranco Basaglia”, risponde Mario.
Quelli di Primola insieme ad un artista, Oscar Dominguez, l’hanno voluto rifare, bianco, con una criniera lunga come le ali, e le gambe che camminano.

Il Marco bianco ha camminato nell’Arena delle balle di paglia, nella grande festa d’agosto di Santa Sofia e nella festa delle favole di San Pancrazio.

Ora è in piazza per restituire l’energia di un grande uomo, Gianfranco Basaglia, e di tutti gli ultimi e per ricordare che siamo tutti un po’ matti. Tutti abbiamo bisogno di essere compresi ed aiutati. Soprattutto di essere considerati persone, senza aggettivi.

Se hai pazienza ti vorrei raccontare la storia di Marco Cavallo.
I matti, fino agli anni ottanta, erano chiusi dentro, da soli, nei manicomi, perché pensavano che non si potesse fare nulla per la loro tristezza e rabbia.

Nell’ospedale di Trieste, grande quasi come Cotignola, c’era un cavallo che tutti i giorni trasportava in un carretto dentro il manicomio la biancheria pulita e portava via quella sporca con i sacchi di immondizia.
Tutti i matti erano diventati amici di questo cavallo e lo chiamarono Marco Cavallo. Erano felici d’incontrarlo, sembrava l’unico in grado di comprenderli.

Marco s’invecchiò. Un giorno impararono che sarebbe stato macellato, perché non ce la faceva più a trasportare il carretto della biancheria.
Allora tutti i matti ricoverati fecero una lettera al Presidente della Provincia di Trieste, implorando di non portarlo al macello, perché era l’unico loro amico che veniva da fuori del manicomio.
E così lo salvarono.

Dopo un po’ Gianfranco Basaglia, un grande uomo, psichiatra e filosofo, divenne il direttore del manicomio di Trieste. Intraprese dall’inizio la strada di liberare i matti dalla prigione lager manicomio, per portarli fuori a vivere con gli altri. Invitò grandi artisti pazzerelli dentro il manicomio per organizzare laboratori, per aiutare i ricoverati a fare, a costruire.

Così decisero di fare un grande cavallone alto 4 metri di carta pesta, di colore azzurro come il cielo, che ricordasse il loro grande amico Marco Cavallo.

Quando fu finito gli misero le rotelle per portarlo fuori.
Si accorsero che era tanto grande che non passava dal portone. Così decisero, insieme a Basaglia, di sfondare il muro per farlo camminare tra la gente, tirato dai matti e dai non matti.
Fu una giornata memorabile.

Il Marco Cavallo di cartapesta è ancora al mondo, quest’anno ha incontrato anche Il Papa Francesco. Noi vorremmo fosse adottato come il cavallo di tutti: “Che tutti anche quelli che sono un po’ diversi da noi siano lo stesso rispettati perché tutti siamo un po’ diversi” Ce l’ha scritto Agatha, una bambina di 7 anni, il 23 dicembre nella sera delle 2000 candele di pace in piazza.