Sabato 12 ottobre 2019 alle ore 17.30 - Teatro binario di Cotignola
La bomba che il 12 dicembre 1969 ha cambiato l'Italia.
Due racconti su una strage
Claudia Pinelli figlia di Pino, anarchico, diciottesima vittima innocente della strage.
Andrea Baravelli, storico dell'Università di Ferrara. Con le immagini e i filmati dell'epoca.
Claudia aveva 8 anni il 16 dicembre del 1969 quando suo padre, completamente innocente, fu ucciso o cadde tragicamente dal quarto piano della questura di Milano.
Travolta da una tragedia immensa, Claudia ci racconta la sua casa e l’orrenda Strage di Piazza Fontana.
"Per cinquant'anni, tutta la vasta cospirazione di potere che l'ha prodotta ha lavorato per lei, perchè restasse impunita e si moltiplicasse. E' una storia talmente enorme che non si sa da che parte cominciare. ... Non ha mai smesso di cambiare l'Italia, quasi fosse una massa incandescente nel sottosuolo, che continua a bruciare."
(Enrico Deaglio La bomba Cinquant'anni di Piazza Fontana Ed Feltrinelli)
Chi era Pino Pinelli?
Pino Pinelli era un ferroviere, idealista, attivista non violento di un circolo anarchico.
Le indagini della questura, subito dopo l’attentato, furono depistate sulla pista anarchica e Pino fu il primo mostro, innocente, sbattuto in prima pagina da una strategia investigativa deviata da una parte dello Stato.
Precipitò? Fu suicidato?, a pochi giorni dalle bombe, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre. La verità giudiziaria non ha chiarito fino in fondo l’episodio, che lo vide cadere dal terzo piano della Questura di Milano, dopo tre giorni di fermo illegale che l’accusava di essere l’autore della strage.
A Milano ci sono due lapidi che lo ricordano.
Quella del Comune: “A Giuseppe Pinelli Ferroviere anarchico - Innocente morto tragicamente nei locali della questura di Milano 15/12/1969”.
Quella firmata da “Gli studenti e i democratici milanesi” posizionata in quegli anni: “Ucciso innocente nei locali della Questura di Milano”.
Le testimonianza di Claudia e Silvia
“Claudia e Silvia Pinelli avevano allora solo otto e nove anni. La loro è la storia di un’infanzia rubata, dove Pino è il padre che spesso le andava a prendere a scuola e magari al ritorno disegnava su un muretto l’A cerchiata anarchica, un uomo vivace che come caposquadra ferroviere lavorava spesso di notte e rientrava al mattino, in una casa popolare a San Siro dove la porta era sempre aperta e arrivavano studenti e professori della Cattolica a far battere le loro tesi alla mamma Licia. Di Pino ricordano la piccola moto Benelli che accomodava da solo giù nel cortile sotto casa, la passione per la cucina e i suoi risotti, l’interesse per i libri come la famosa Antologia di Spoon River un cui pezzo è inciso oggi sulla sua tomba a Carrara. Un uomo poco più che quarantenne, impegnato tra incontri, manifestazioni, difesa dei compagni incarcerati. E piuttosto idealista, come hanno ricordato i docenti della Cattolica che frequentavano la sua casa o come lo descrive il primo obiettore di coscienza del servizio militare, il cattolico Giuseppe Gozzini. Uno a cui non piaceva la violenza, da giovane – ha ricordato sua madre Rosa - aveva lasciato la boxe perché non gli andava di picchiare qualcuno.”