La copertina del libro che verrà presentato venerdì 27 aprile ore 21 al Teatro Binario.
Incrociando fonti di storia locale, scritti politici clandestini e memorie di compagni di lotta resistenziale, la ricerca ricostruisce l’itinerario di Ernesto de Martino in Romagna durante l’ultima fase della Seconda guerra mondiale.
L’obiettivo è di valutare l’impatto che hanno potuto avere l’esperienza drammatica della guerra, la convivenza con le genti di Romagna e la partecipazione alla Resistenza sull’evoluzione del pensiero di quel giovane intellettuale napoletano che avrebbe fondato, nel dopoguerra, la moderna antropologia italiana. Allora professore di liceo di filosofia e studioso di religioni antiche ed etnologia, de Martino si recò, nell’estate del ’43, nella pianura romagnola per ricongiungersi alla moglie e alle figlie. Perseguitata perché ebrea dal lato paterno, Anna Macchioro si era infatti dovuta rifugiare a Cotignola, sul fiume Senio, da dove era originaria la famiglia della madre.
In Romagna, dunque, de Martino visse gli stravolgimenti della guerra; e dalla Romagna fu osservatore e partecipe del disorientamento politico del paese che seguì la caduta del regime fascista, il cambiamento di fronte della monarchia, l’occupazione tedesca e l’instaurazione della RSI in Alta Italia.
De Martino, che da giovane aveva creduto con trasporto alla rivoluzione fascista, condivise in Romagna una diffusa presa di coscienza della degenerazione civile e morale che il regime aveva rappresentato.
Una periferia della Storia potrebbe sembrare quella Romagna.
Ma una periferia tutt’altro che insignificante: quel mondo locale in cui capitò de Martino fu un crogiolo di grandi personalità più o meno celebri per la storia locale e nazionale; un microcosmo sociale fatto di piccole e grandi iniziative di solidarietà per la difesa di ebrei e militanti perseguitati che varranno a Cotignola il titolo di “Paese dei Giusti tra le nazioni”; e il campo di alcune delle principali battaglie per la Liberazione dell’Italia, perché luogo di arresto della Linea Gotica per lunghi e drammatici mesi tra il novembre ’44 e l’aprile ’45.
In Romagna de Martino soggiornò a Cotignola dalla caduta del fascismo all’arrivo del fronte (luglio ’43 – novembre’44), periodo durante il quale lavorò come professore di filosofia al Liceo Torricelli della vicina Faenza. Poi fu costretto a lasciare moglie e figlie a Cotignola per rifugiarsi clandestinamente nel paesino di Masiera, sempre sul fiume Senio, in quanto perseguitato dalle (novembre-dicembre ’44). Infine, passato in zona liberata, soggiornò a Ravenna e poi a Forlì (gennaio-maggio ’45). In quell’anno e mezzo in Romagna de Martino condivise le sorti e le peripezie di sfollati di altre regioni italiane, di ebrei rifugiati, di oppositori clandestini all’occupazione tedesca e al regime fascista della Repubblica Sociale Italiana (RSI) e di attori della rifondazione dell’Italia libera. Ma soprattutto condivise spazi e tempi con le genti di Romagna – persone spesso d’estrazione contadina di quella terra che è un po’ un Meridione del Nord – che intrattennero con il “Professore” meridionale rapporti improntati talvolta alla solidarietà e altre volte a un rispettoso distacco.
In tale scenario, de Martino si mosse alternando la ricerca di un rifugio esistenziale nella scrittura filosofica ed etnologica con alcuni e ripetuti tentativi di impegno politico e di connessione con il movimento storico delle masse rappresentato dalla Resistenza. Finora poco conosciuto nell’evoluzione personale ed ideologica di de Martino, quel periodo risulta importante per la storia del pensiero antropologico e della cultura italiana perché coincide, almeno in parte, con il processo di riflessione, stesura e revisione di scritti attorno a società dette “primitive” che condurrà alla pubblicazione, ad inizio ’48, del celebre Il mondo magico. È convenzione considerare che tale opera, inaugurando la “Collana Viola” di Cesare Pavese presso Einaudi, segnerà l’apertura della cultura italiana alle scienze sociali e agli studi etno-antropologici internazionali. Fu proprio durante la guerra e quello scorcio romagnolo di “vita anteriore dell’antropologo” che de Martino, al tempo ancora etnologo “da poltrona”, andava elaborando una delle celebri nozioni a cui la sua antropologia è associata: quella di “crisi della presenza”.
Tratto dall'introduzione del saggio di Riccardo Ciavolella "L'etnologo e il popolo di questo mondo"