Riccardo Ciavolella è antropologo politico e ogni tanto scrittore. Vive e lavora a Parigi, alternando soggiorni di ricerca in Africa e in Europa e tornando spesso in Italia e in Romagna, per rintracciare connessioni tra mondi. È autore di diversi studi etnografici su subalternità ed emancipazione in Africa, di un manuale di antropologia politica in francese e di un libro per bambini. E' l'autore del romanzo: "Non sarà mica la fine del mondo" e di "Etnologo e il popolo di questo mondo", nati dallo studio dell'incontro di de Martino con Cotignola negli anni 1943-44, che saranno presentati il 27 aprile al Teatro Binario di Cotignola.
- Quando hai incontrato il de Martino di Cotignola?
Quattro anni fa, a Parigi, assistendo alla conclusione di una conferenza che riuniva i più grandi specialisti mondiali di de Martino, ho sentito qualcuno ricordare che l’antropologo aveva vissuto gli ultimi mesi della guerra a Cotignola, precisando però che non se ne sapeva molto. Io ho reagito, in un modo un po’ inadeguato per la situazione, gridando: “Cosa? De Martino a Cutgnol?”.
Per quindici anni, la mia professione di antropologo mi aveva portato ad interessarmi a società e culture lontane dalla mia Romagna natia. Eppure, proprio quando ero in fondo alla savana africana, sentivo il bisogno di riannodare un contatto con “casa”: cresceva in me la convinzione che si possa rintracciare un senso comune dell’esperienza umana anche tra mondi lontani e persone apparentemente diverse. Così, venuto a conoscenza di quel soggiorno di de Martino a qualche chilometro da Imola, dove sono nato, ecco che l’antropologia, dopo avermi condotto lontano, mi riportava a casa. Da allora, ho fatto della sua implicazione nella Resistenza cotignolese un vero e proprio oggetto di ricerca storica e antropologica. Ma c’era dell’altro: questa ricerca è stata l’occasione per me di ridefinire la mia intimità con la Romagna, ricostruendo anche delle vicende molto vicine a quelle vissute durante la guerra dai miei nonni, scomparsi proprio in questi anni: con loro, mi era sembrato che stesse scomparendo una memoria che era necessario tenere viva.
- Che cosa ti ha appassionato di più? Quali stupori hai incontrato in questa ricerca?
Tutto. Mi ha appassionato tutto il mondo che a me si è rivelato attraverso le fonti, le testimonianze, gli incontri, le letture e i vagabondaggi in tutta la Romagna, con al centro Cotignola, alla ricerca di tracce di quella storia, tra una memoria di un contadino canapino, un’espressione dialettale, un documento politico, il ricordo di una contessa. Di de Martino, mi ha appassionato la storia personale, quella dell’intellettuale meridionale che tenta di stabilire un rapporto con il popolo romagnolo per contribuire al riscatto e alla liberazione dell’Italia e la riflessione teorica e politica, visto che scrisse al tempo cose importantissime. Ma la mia ricerca va ben oltre la ricostruzione della traiettoria di un grande intellettuale: è un’esplorazione di un mondo storico, quello della Cotignola popolare, della Cotignola che accoglie e protegge, della Cotignola che resiste e si indigna, della Cotignola che muore e risorge, che mi è apparso alla stregua di un mondo magico, che trova modo ancora oggi di prendere la parola, ad esempio, all’Arena delle balle di paglia.
- Che cosa vorresti dire ai Cotignolesi, partendo da questo incontro?
Da dire ai Cotignolesi non ho molto, perché io qui sono venuto soprattutto per ascoltare. Se lo permettono, suggerirei soltanto di continuare ad ascoltare assieme le voci che giungono dal passato, per rinnovare oggi, di fronte alle prove collettive che si annunciano, lo spirito che allora fece resistere la comunità in quei tempi drammatici con dignità e spirito di accoglienza.