Testimonianze di Rossetta (07/04/2017)

QUELLA RAFFICA DI MITRA CHE HO VISTO A CINQUE ANNI
Quella mattina ero molto contento, mi trovavo nei campi poco dietro casa, con mia sorella, il babbo, lo zio Amedeo e le mie cugine Rina e Carla.
Stavamo piantando, credo, i fagioli e io mi divertivo a chiudere le buche che il babbo e lo zio Amedeo facevano con la zappa per piantare i semi.
Improvvisamente vidi un uomo correre velocemente lungo il fosso di confine fra noi e la famiglia Zoli e subito dopo arrivarono altri due uomini. Quelli gridarono qualcosa, ma l’uomo davanti continuava a correre, allora da dietro, dopo un altro urlo, spararono una raffica di mitra.
Rimasi completamente impietrito dalla paura, mia sorella piangeva e il babbo e lo zio ci portarono velocemente a casa, raccomandandoci di non dire nulla di quanto avevamo visto.
Sui volti del babbo e dello zio si leggeva la preoccupazione per quanto era successo e la tensione si stemperò solo parecchi giorni dopo il fatto.
Questi ricordi possono essere anche inesatti, perché allora avevo solo cinque anni, ma la fotografia di Adriano che scappava e la faccia con cui i fascisti si accanirono su di lui è indelebile.
Franco Betti

QUANDO MI VIDE PIPPO
Avevo 14 anni, abitavo con la mia famiglia in via Rossetta all’incrocio con via Utili dove ora abita Mazzotti Serafino. Per evitare che i tedeschi ci portassero via il bestiame, lo trasferimmo nella stalla di Gaudenzi che si trovava in fondo ai nostri campi lontano dal paese. Io tutti i giorni andavo a governare le bestie.
Era un momento critico della guerra perché il fronte si avvicinava. Gli alleati usavano un aeroplano per sorvegliare la zona, chiamato da noi “Pippo”.
Era un pomeriggio e mi avviai verso la stalla lungo il fosso di confine che era pieno di arbusti per non farmi vedere, quando attraversando il campo allo scoperto cominciai a sentire le cannonate che gli alleati da Piangipane sparavano verso di me, “Pippo mi aveva visto”. Come sentivo il fischio della granata che arrivava mi buttavo a terra e dopo lo scoppio mi rialzavo e correvo verso il sentiero per casa Gaudenzi. Mi buttai a terra tre quattro volte, era un vero bombardamento, arrivai al sentiero, sentii un fischio e mi buttai nel fossetto a fianco, dall’altra parte del sentiero cadde la granata che mi seppellì di terra.
Nei campi quel giorno c’erano Foschini Michele e Foschini e Paolo che videro il tutto e vennero in mio soccorso, mi tirarono fuori e mi rianimarono perché ero svenuto. Accertato che non ero ferito ripresi il mio viaggio verso la stalla per accudire le bestie.
Dopo la vigilia di Natale quando sfollammo da Rossetta, passammo a prendere le bestie dalla stalla e andammo ospiti a Piangipane a casa di un amico di mio padre che si prese cura di noi e delle bestie per tutta la durata della guerra.
Enio Mazzotti

HO ASSISTITO AD UN ECCIDIO GUARDANDO CON IL BINOCOLO
Come tutti i ragazzi a quei tempi eravamo attenti e curiosi ai discorsi degli anziani e agli avvenimenti dell’epoca.
Nella scuola della nostra frazione erano custodite sotto la sorveglianza di un Sergente tedesco e un suo attendente strumenti musicali, materiale di legno, armi e altri oggetti razziati dalle proprietà come era costume fare dai tedeschi.
A seguito di un azione partigiana, il Sergente rimase ferito di striscio da un proiettile all’avambraccio.
Per chi non lo sapesse, era stato decretato, con la complicità della Repubblica di Salò, che un tedesco valeva 10 italiani, quindi la rappresaglia era imminente.
Pertanto furono rastrellati cittadini di Rossetta per scavare una “postazione” orientata verso il fiume, all’interno del recinto della scuola, inoltre fu fatta scavare un’ulteriore fossa profonda un paio di metri, posta nel podere confinante alla scuola di proprietà di Zoli Tommaso, Umberto e Adele, destinata quest’ultima a diventare la tomba di tre cittadini prelevati dalle carceri di Forlì.
Spinto da curiosità mi recai a casa di un vicino la cui moglie era una grande amica di mia madre, si chiamava Anita, ”Clavgì”, sapevo che possedeva un binocolo militare. Glielo chiesi per seguire gli avvenimenti, incurante dei rischi che correvo e contro il parere dei miei famigliari.
La mattina, non so dire l’ora esatta, un camioncino arrivò ed entrò nel cortile della famiglia Tassinari Girolamo “Stoppa” oggi “Trioschi” e siccome in quel momento erano presenti in cielo aerei alleati sostarono nel portico per non essere avvistati.
Io sdraiato sull’argine del fiume per non essere notato segui col binocolo la scena agghiacciante che a distanza di 64 anni è rimasta impressa nella mia mente come fosse ieri , non erano tedeschi, ma fascisti della R.S.I “i Carnefici”, coloro che alcuni oggi vogliono equiparare ai combattenti della Resistenza.
Era un Tenente neanche vecchio che spinse per primo il più anziano nella fossa, finendolo con una raffica di mitra e di seguito gli altri, l’ultimo il più giovane si gira per vedere il carnefice che gli avrebbe sparato in faccia. Orgogliosi del loro lavoro sporco,se ne andarono canticchiando i loro inni.
L’ attendente del Sergente che era salito a farci visita per bere un bicchiere di vino, aveva le lacrime agli occhi quando giunse a casa nostra in via Sottofiume di fronte alla scuola.
Anche lui fu colpito profondamente per la ferocia dell’eccidio e per la strafottenza dimostrata da quegli aguzzini nel compiere un atto così infame contro inermi innocenti.
La grande curiosità che mi spinse a 14 anni ad assistere a questi tristi e drammatici avvenimenti hanno alimentato dentro di me l’odio per ogni forma di ingiustizia e di violenza, ma nello stesso tempo anche una grande volontà di lottare contro ogni forma di “autoritarismo” che si manifesta oggi nel vivere quotidiano sotto svariate forme, come la mancanza di rispetto per la persona e per i diritti sanciti dalla nostra Costituzione.
Mario Farina

MI DIEDERO VANGA E BADILE PER SCAVARE SCALZO LA FOSSA PER I FUCILATI
26 agosto 1944. Avevo quindici anni e abitavo con la mia famiglia in via Rossetta in una casa che ora non c’è più, si trovava dove ora c’è l’orto di Giannetto Martoni.
Era pomeriggio e me ne stavo seduto su una panca con mia nonna Antonia all’ombra del capanno di fianco a casa, quando vidi arrivare un soldato tedesco armato di fucile, davanti a lui camminavano Zoli Giovanni e Contessi Aurelio. Venivano dalla casa di Giovanni da dove era stato prelevato, mentre Aurelio si era fatto prendere nei dintorni. Quando li vidi, era già troppo tardi, non sarei potuto scappare, mi avrebbe sparato sicuramente, non li avevo sentiti arrivare; di solito giravano in motore o a cavallo, perciò me li trovai davanti. Questo soldato non era di razza tedesca, ma mongola, era brutto con la pelle gialla. Era un ex prigioniero che si era convertito alla causa tedesca, ed era più cattivo dei tedeschi che conoscevo.
Mi fece segno di seguirlo, io gli feci notare che ero scalzo, mi alzai per andare in casa a prendere le scarpe, ma lui mi puntò con il fucile urlandomi di seguirlo. Io con quel po’ di tedesco che sapevo gli chiesi cosa volesse da noi; lui rispose: tre partigiani kaput.
Ci avviammo verso le scuole, per la strada non c’era nessuno, noi tre davanti e lui dietro con il fucile, sapevo che giorni prima era stato ferito un sergente tedesco, avevo paura di una rappresaglia contro noi.
Ad arrivare alle scuole fu un attimo. Man mano che ci avvicinavamo vidi tanti tedeschi, circa una decina, avevano le mitragliatrici piazzate a terra e sorvegliavano la zona per evitare attacchi.
Mi sentivo in trappola. Ci fecero entrare nel cortile dei Zoli dove ci diedero vanghe e badili per scavare una fossa. Io gli feci notare che ero scalzo e quindi non potevo scavare, il soldato chiese uno zoccolo a Tommaso che abitava li, lui me ne portò uno destro, ma siccome io ero mancino lo misi a rovescio. Nella vigna di fianco alle scuola era stato tracciato il perimetro della fossa due metri per due. Ci mettemmo a scavare, la terra era dura e secca io non scavai molto, dopo poco arrivarono altri nostri paesani rastrellati per il paese, diventammo una quindicina, in quel momento capii che ero salvo, perché quella fossa era troppo piccola per tutti noi. Passammo le vanghe ai nuovi arrivati e noi tornammo a casa.
Il giorno dopo vennero prelevate dalle carceri di Forlì tre prigionieri, che vennero poi fucilati sul posto.
Vennero rastrellati altri paesani per chiudere la fossa.
Per Rossetta fu un momento di paura, una dimostrazione di forza e crudeltà nazifascista.