L'Arena di Sigfrido (16/07/2016)

Sigfrido era il fratello di Brunilde, Ribello e Giongabille. Suo babbo, Pietro, comparsa nelle opere liriche, scappò per amore con una donna, e ritornò a casa non so dopo quanti anni. La zia, Zaira, sorella di Pietro, si trasferì in Brasile con il marito, Pezzi, con il quale ebbe due figli gemelli, che chiamò Tristano ed Isotta.
La mamma di Pietro e Zaira gestiva un negozio di verdura, e tutti la chiamavano “belèza”, perché così brutta che è divenuta “belèza” per tutto il paese.

Sto parlando di una famiglia di Cotignola, vera, tutti nomi veri, raccontati dalla figlia di Sigfrido, Elly, citati “Nel libro dei nomi della Romagna” di Tino Dalla Valle, che è come leggere la storia dell'opera lirica.

Ma andiamo avanti.
“Sigfrido - morto a 68 anni nel 1990 - era un anarchico allo stato puro”, racconta Elly, un muratore anarchico antifascista, sposato con la lirica, che non ce la potevi fare ad imprigionarlo all'autorità e alla costrizione.
A 18 anni, nel 1940, “fu chiamato alla leva nel Battaglione San Marco” - racconta la sorella Paola di 89 anni - poi fu prigioniero di guerra in Germania “che arrivò ad essere 37 chili di peso”, quindi nella fattoria di Elfriede, una donna tedesca con due bambini, che l'aiutò e forse un po' di più. In prigionia gli facevano seppellire i cadaveri. Tentò una prima fuga, ma fu ripreso e picchiato. Durante questa fuga – ha sempre detto Sigfrido - macellarono una mucca con un temperino.
A 23 anni, nel 1945, subito dopo la Liberazione, tornò a casa a piedi, dopo avere attraversato la Francia dei partigiani d'Europa, e la prima cosa che chiese fu: “Dôv éla la znéna? (Dov'è la piccola?), la sorella piccola, Paola, che aveva salutato a 13 anni e la reincontrava ragazzina di 18 anni.

Nella Cotignola distrutta dalla guerra, si mise a fare il muratore. Prima lavorò in cooperativa, poi nella sua impresa di muratore anarchico, assunse personaggi, che avevano la stoffa per lavorare con lui. “Arriva l'armata brancaleone” dicevano quelli della Vulcaflex, la fabbrica che li aveva scelti come impresa, negli anni settanta.
Sigfrido sposò Velleda, da cui nacque Siglindo nel 1952, che morì per una meningite fulminante a 3 anni, la grande tragedia della sua vita. Dopo 5 anni rinacque la loro vita con Elfrida, per tutti noi Elly, chiamata così forse per ricordare l'Elfriede tedesca. Sigfrido avrebbe voluto chiamarla Gutruna, altro personaggio dell'opera, ma a quel punto la moglie s'impose e gli disse: “questa poi no!!”.

Avrete capito che siamo a casa di una famiglia wagneriana dove si allevava la lirica.
Sigfrido, talento naturale (Studiò canto per un breve periodo con un maestro di pianoforte di Lugo. “Figurati se continuò”, fa Elly ), aveva una bellissima voce da tenore e quella la usava in tutte le occasioni della vita.
Prima nei Canterini Romagnoli, un sodalizio che durò poco, perché non ce la faceva a stare dentro le regole di un coro.
La sua voce piaceva tanto ed era irresistibile, e così nei matrimoni lo chiamavano a cantare da solista. All'inizio cantò con il violoncello di Genunzio Ghetti, suo amico d'infanzia, poi primo violoncellista della Scala di Milano, che l'accompagnò anche al matrimonio della sorella Paola, il 28 aprile 1951, in una memorabile Ave Maria di Schubert, nella “Cattedrale di Cotignola” stracolma di gente.
Dopodichè, “Sigfrido ai sit a cantê par e matrimoni d'mi fiöla?” (Sigfrido ci sei a cantare per il matrimonio di mia figlia?) e lui compiaciuto con una risata da tenore in “èèèèèè....” era ben contento di dire: “sè, sé, maridèn pu la bugadêra” (Sì, sì, sposiamo pure la lavandaia). In chiesa - ci andava solo per i matrimoni accompagnato al piano da Giuseppe Rivalta o da Edgardo Ballardini, l'inventore di tutte le bande del paese dal dopoguerra fino agli anni settanta.
Sigfrido cantava anche nel bar Senio con Teo e qualche volta con Canicia, pucciniano, antiverdiano, comunista: “Verdi - diceva Canicia - e sona sol di valzer”.

Sigfrido cantava quando vinceva a briscola, con una voce che la sentivi dal bar Sport della piazza. “I arrivaaaaaaaaa” (arrivano), annunciava in romagnolo lirico la vittoria al barista.
Cantava al tavolo del bar con Teo, che amava il bel canto e il vino.
Cantava quando si incazzava ed era furibondo.
Se dal suo garage-officina, usciva “Ridi pagliaccio” a tutto volume che si spargeva fino a tre strade di distanza, Sigfrido era veramente incazzato. E che non ti passasse per la testa di dirgli di abbassare il volume.
Figlia, moglie, vicini si tappavano le orecchie: “lasal stêr cus sfoga cun la lirica” (Lascialo stare, che si sfoghi con la lirica).

Teo,Sigfrido e Canicia” sono tre cotignolesi doc che hanno vissuto l'opera lirica come un genere pop da bar, da lavoro, da teatro, da vita di tutti i giorni. E quest'anno sono invitati speciali di Nell'arena delle balle di paglia, come fosse l'Arena di Verona di paglia.
Sono morti felici che noi riviviamo e che facciamo conoscere ai giovani; potrete immaginarli cantare il canto lirico da bar, mentre se la ridono.

Sigfrido Tramontani, Matteo Bersani, Walter Silvagni (Canicia) e la lirica