Il testo letto da Giulio Cavalli nel nuovo Centro civico di Rossetta (26/04/2010)

RESISTENZA
di Sergio Nazzaro

“Che cosa è un Ponte Bailey?”
L’uomo con la barba bianca e gli occhi stanchi si girò verso il nipote. Dieci anni. Si chinò a raccogliere le carte di plastiche.
“Non devi buttare la carta a terra!”
“Mi è caduta nonno ora la raccoglievo, sai che cosa è un ponte Bailey?”
“Ma dove hai sentito questa parola?”
“Sta scritta qua, vedi”.
L’uomo dalla barba bianca e dagli occhi stanchi si aggiustò gli occhiali e prese le pagine colorate che la mano del nipote reggevano con mano incerta. Immagini a colori, foto in bianco e nero, soldati. Vignette. Il nipote aveva insistito. Voleva i soldatini. Erano esposti in bella vista in edicola. Apposta per attirare i ragazzini. Sapeva come funzionava il meccanismo. Il primo numero a basso prezzo, poi tutto aumentava. Mica la sua pensione. Ma le bollette si, l’affitto anche, la spesa pure. E il secondo fascicolo dei soldatini. Prese le pagine colorate si aggiustò ancora una volta gli occhiali, per meglio dire cercò di mettere a fuoco gli occhi e maledisse le mani. Ormai piene di dolori. Imprecise, grosse, scorticate. Dure. Mani di emigrante.
“Tu hai fatto il costruttore nonno?”
“No ho fatto l’ingegnere?”
“E costruivi i ponti?”
“No frigoriferi”
“E perché non costruivi i ponti?”
L’anziano ingegnere rimase pensieroso. Perché non costruiva ponti. Avrebbe potuto finalmente superare quel fiume che aveva davanti agli occhi. Il Garigliano. Il fiume che divide la Campania dal Lazio. Non che non ci fossero ponti, anzi due, di cui uno chiuso ormai. Vecchio. Un fiume che non dice niente a nessuno. Ma che divide la terra della camorra, dalla terra dove c’è un poco meno di camorra e meno spazzatura in giro. Anche se avrebbe imparato a costruire ponti, non era più sicuro di riuscire a fuggire.
“Allora nonno mi spieghi il ponte Bailey?”
Il nipote aveva cominciato a far sparare e azzuffare i primi due soldatini della seconda mondiale tra di loro. Salti, spari, imboscate, tutto nel palmo di una mano. Un’intera guerra in pochi centimetri, senza una goccia di sangue, senza urla e grida. E appena muore uno dei contendenti, si ricomincia. All’infinito. Una guerra senza morte.
“Si dai, vediamo un poco che cosa dice. Allora il ponte Bailey è stata un’invenzione di un’ingegnere inglese, che faceva anche il soldato”.
“E costruiva anche lui frigoriferi come te?”
“Non credo proprio. Allora, questo ponte è facile da costruire e si usa quando c’è un fiume e non c’è una strada per attraversarlo”
“E lo costruiamo anche noi, nonno?”.
“Beh potremmo. E’ come mettere tanti pezzi insieme e basta un martello e un cacciavite, ma devono essere grandi. Allora questo signore ha inventato questo ponte, come se fosse un Lego. Metti i pezzi insieme e si passa dall’altra parte”.
Il nipotino si era di nuovo concentrato nell’immane guerra sul palmo della sua mano. La spiegazione del ponte non gli interessava più. Il costruttore di frigoriferi continuò la lettura. Si era adagiato contro un tronco di un albero. Il nipote a vista sulla coperta messa a terra. Ancora qualche ora e il figlio sarebbe andato a riprendersi il nipote. Una passeggiata sulla riva del fiume nei primi giorni di primavera. Riusciva anche a sentire il profumo del mare. La foce del Garigliano dista solo qualche centinaio di metri. Le barche pigramente a dondolare nel pomeriggio caldo. Cominciò a ricordare. Non lo sapeva allora, ma i ponti Bailey c’erano anche vicino la sua casa. Gli americani, gli inglesi. Gli indiani, scuri di pelle. La cioccolata. Ma quella è venuta dopo. Della guerra si ricordava la fame. E il nonno. Che si diede per matto pur di non partire per la Spagna. Una mattina si alzò dal letto si tolse il pigiama e andò in giro per il paese come la madre lo aveva fatto. I carabinieri lo avevano fermato.
“Ma cosa fate mastro Antonio che vi succede?”.
Mastro Antonio era conosciuto nel paese. Muratore, bravo. Di cuore, sempre a mettere qualche mattone al posto giusto senza chiedere una lira. Non lo sapeva che di lì a poco sarebbero arrivati anche i dollari americani, o le lire americane. Ma tanto in famiglia si tirava sempre a campare, precari prima dei contratti a progetto. No, la guerra non era proprio una cosa giusta. Mastro Antonio non ci dormiva la notte: io sparo a un cristiano. Ma che scherziamo e perché poi, perché il Duce ha detto che bisogna partire? Nel paese erano tutti diventati ferventi fascisti. Ah la fame combina brutti scherzi. Fame o non fame, la dignità di Mastro Antonio gli impediva di uccidere qualcuno e peggio ancora per i morti di fame trasformati in fascisti. Era il momento di dare di matto. Così nessuno più lo disturbava dai suoi mattoni.
“Ma come non vi piace il mio vestito nuovo?”
La nonna dell’uomo dalla barba bianca era corsa in caserma. Si disperava. Gridava.
“Che vergogna, che vergogna che sei, ma che fai? Ti devi andare a confessare, ora devi correre a confessarti, subito!”.
I carabinieri ebbero un moto di pietà. Meglio il carcere che la moglie di mastro Antonio arrabbiata. Concetta era conosciuta in paese come donna pia e riservata. Ma se si incazzava, anche i carabinieri si toglievano di mezzo.
“Che ti passa per la testa?”
Mastro Antonio con una pigiama da carcere si stava avviando a casa con Concetta.
“Perché non ti piaccio più, non mi hai mai visto nudo?”
“Tu fai peccato lo sai? Sei un senza Dio!”
“Sarò anche senza Dio Concetta, ma non sarò un senza famiglia. Non lascerò la mia famiglia per andare in guerra a sparare, voglio essere pazzo, ma non parto”.
Concetta piangeva al solo ricordo di quella scena. Si disperava. Non poteva neanche mettere il vestito da morto al suo Antonio. La bomba dei tedeschi lo aveva fatto a pezzi. E in tempo di guerra il tempo per cucire non ci stava neanche per i vestiti.
“Nonno, tu hai fatto la guerra?”
Il costruttore di frigoriferi era sovrappensiero. La luce del pomeriggio si rifletteva sul fiume. Il nipote continuava a fare la guerra con i due soldatini.
“No, non lo mai fatta?
“E il tuo nonno, quello vecchio vecchio?”
“La guerra lo ha ammazzato!”
Il nipotino rimase senza fiato. L’uomo dalla barba bianca si sorprese della sua durezza nell’affermazione. Ma era la verità. La guerra. Chi la ricordava più ormai? La fame, questo ricordava, tanta. Durante la guerra, dopo durante l’emigrazione. Anche oggi che può mangiare sente quella fame. Ma nessuno ricorda nulla. E tutto si confonde.
Lasciò i pensieri da parte e continuò nella lettura del fascicolo. Un quadretto colorato riportava una nota. In Italia è conservato ancora un Ponte Bailey. Nel Museo della Battaglia del Senio. Ad Alfonsine. Luogo di una cruenta battaglia della Resistenza.
L’uomo dalla barba bianca pensò d’improvviso che aveva sempre votato Democrazia Cristiana. Chissà perché quel pensiero. Almeno loro rispettavano la Resistenza. Era un ragazzino, uno scugnizzo durante la seconda guerra mondiale. Sentiva la storia di uomini armati che tiravano addosso ai tedeschi. Ricordava chiaramente la nonna Concetta alzarsi la notte e aprire la porta con pezzi di pane in mano. Incontri fugaci. Brevissimi. La casa della nonna Concetta era costruita nella roccia. Un ammasso di rocce che formavano la parte vecchia del paese. Scale di pietra, vicoletti. Vie di fuga veloci. La nonna non gli diceva mai chi erano quegli uomini.
“Faccio la carità c’è tanta gente che non può mangiare”
“E vengono di notte nonna a mangiare? Perché non vengo quando c’è la luce”
“Perché quando c’è la luce dormono, perché hanno molto da fare la notte”
“Nonna e chi sono i partigiani?
“Zitto non dire mai quella parola, mai”
L’uomo dalla barba bianca per molto tempo pensò che i partigiani fossero i cattivi , anche più dei fascisti morti di fame e dei tedeschi che parlavano strano. Se la nonna gli aveva detto che non si doveva parlare di loro, significava che erano cattivi. Neanche del diavolo si doveva parlare in casa. E quindi dovevano essere per forza la stessa cosa.
“Nonno perché ridi?”
Il costruttore di frigoriferi si era sorpreso a ridere di gusto. Aveva pensato che i partigiani fossero come il diavolo. Un giorno gli diventò tutto più chiaro. Era morta nonna Concetta. Mentre metteva in ordine le vecchie cose nella casa incastrata nelle rocce, aveva trovato un sacchetto di monete. Inglesi. Americane. Straniere. Il mistero lo aveva sciolto la sorella di nonna Concetta, zia Caterina.
“Tua nonna ospitava partigiani e soldati ‘mericani. Mai quelli scuri di colore in faccia. Concetta si spaventava con quelli neri, anche se sapeva che erano i buoni, ma che vuoi fare Concetta era fatta così. E quelli si organizzavano dentro la casa di nonna Concetta”.
“Ma vuoi dire che nonna Concetta faceva la Resistenza?”
“Ma che dici? Concetta era la donna pia del paese sapevano tutti che andava solo in chiesa e amava la buon’anima di Antonio che tu non ti ricordi ma è morto per una bomba durante la guerra. Concetta faceva solo quello che era giusto fare. Era una donna di chiesa, mica si metteva a fare la Resistenza. Ma la porta di casa sua era sempre aperta la notte. Venivano i partigiani e i’mericani a parlare, a mangiare e andavano via. I tedeschi non avrebbero mai pensato da Concetta, quasi una mezza suora si organizzavano le zone di combattimento. Nonna era fatta così, quando aveva visto che i tedeschi ridevano in chiesa, che sputavano a terra, quella non ci ha visto più. Non sopportava i comunisti, ma quelli almeno si toglievano sempre il capello quando entravano in una chiesa, anche se bombardata. E così i ‘mericani. Avevano rispetto. E nonna Concetta aveva capito che anche se comunisti e anche se scuri di pelle e anche se ‘mericani, stavano facendo la cosa giusta, combattevano i senza Dio. E loro per ricompensa gli avevano lasciato i soldi che hai trovato tu. Non li ha mai spesi, eppure ci si poteva comprare il pane con quei soldi.
“E perché non li ha mai spesi?”
“Perché altrimenti non avrebbe avuto senso aprire la porta di notte”
“Cioè?”
“Sarebbe stato come fare qualcosa per soldi, e a quei tempi si combatteva per la vita e non c’erano soldi che potevano comprare questa cosa. Concetta ha conservato quei soldi come un ricordo. E poi donna di chiesa quanto vuoi, ma secondo mi si divertiva a complottare di notte, quello tuo nonno Antonio faceva il matto ma era anche assai noioso. E Concetta si divertiva, vedeva la vita. E faceva la cosa giusta”.
L’uomo con la barba bianca e gli occhiali spessi si rabbuiò, il tempo passa e non c’è nulla da fare. Si dimentica tutto. Il figlio era in ritardo. Già, un giorno di festa il 25 aprile. Era andato a mangiare con la moglie. Al mare. Il nipote lo avevano lasciato con lui per avere un poco di tempo libero. E gli faceva piacere passare il giorno della liberazione con il nipote. Non sapeva però se era libero.
In pensione da diversi anni. Quella italiana ridicola. Almeno quella della Svizzera era sostanziosa. Anni di duro lavoro. Il tornio, le baracche, il freddo. Arrivavano i sindacalisti con il Fiat Mirafiori. MA che ne sapevano loro del sacrificio degli operai. Il telegiornale non lo vedeva più. Sciocchezze. Non aveva votato comunista. Mai. Ora non votava più. Resistenza. Ogni giorno. Per tirare avanti. I figli disoccupati o con lavori precari. E tutti a cercare qualcosa dalla sua pensione. Mai una vera liberazione. Vera. Dai pensieri, dai politici corrotti e mafiosi. Si domandava sempre perché fosse tornato. Era solo un emigrante. Dopo la seconda guerra mondiale non c’era molto lavoro. Ed anche oggi. Sangue versato, sprecato. Nessuno ha mai onorato quelle morti. Altrimenti vivremmo in un paese diverso. Invece il Paese non cambia mai. Si sentiva qualunquista, ma ciò che era ovvio ormai non era più accettato come verità.
“Nonno a cosa stai pensando?”
“Ai tuoi soldatini. Lo sai che quelli sono persone vere, umane e che quando fanno la guerra si fanno male, molto male?”.
“E muoiono anche?”
“Si muoiono anche”
“Ma poi tornano per giocare?”
“No, non tornano per giocare”
“Ma i soldati hanno sempre una divisa quando combattono?”
“Si. Anche se hanno i vestiti sporchi e puzzolenti. Ma hanno la divisa della dignità nell’anima. E’ una cosa che capirai quando sarai più grande. Ci sono stati soldati in questo Paese, soldati di un esercito che non aveva bandiere, se non quella della libertà. Ma tanto oggi tutto si confonde ed io sono vecchio, e c’è chi dice che le cose sono andate in maniera diversa da come sono successe”
“Come quando litighi con la nonna e non sapete chi ha ragione?”
“Qualcosa del genere, però io e la nonna sappiamo qual è la verità alla fine”.
L’uomo con la barba bianca e un fascicolo sui soldatini tornò pensieroso. La verità cambia e muta con il tempo, c’è sempre qualcuno che vuole far andare in maniera diversa gli accadimenti. Perché poi, non se lo è mai spiegato. La Resistenza al freddo, all’essere cacciati dagli Svizzeri, non poter affittare una casa. Resistere alle diffidenze, all’essere straniero fuori e dentro casa. Chissà se il nipotino vedrà mai in televisione il Presidente Pertini esultare per i gol del Mondiale del ‘82. Quello si che era un partigiano. Alzarsi in piedi e stringere il pugno. Dignità, serietà, lavoro. Dopo di lui nessuno è stato cantato in una canzone. Se le fanno da soli, ma è un’altra storia. Pertini. Quando un uomo segna un’epoca. Epoca il giornale che leggeva sempre. Diretto da Enzo Biagi. Votava DC ma leggeva sempre Epoca. Pertini, Biagi, Montanelli. Ormai era anziano, questa era la verità. E tra non molto gli sarebbe toccato morire. Quando insegnava ancora portava i ragazzi nei cimiteri militari, come quello di Cassino. Ma i ragazzi si annoiavano, non vedevano oltre le pietre tombali i sogni le speranze di quei giovani combattenti. Uomini che avevano lasciato una famiglia, una moglie, delle fidanzate. E poi lui era stato un’insegnate. Non si arrivava mai alla seconda guerra mondiale. Qualche volta di corsa. Un programma da rispettare niente di più, niente di meno. Immaginava quando camminava, la terra battuta dagli scarponi dei soldati. O le scarpe di cartone di quei poveri disgraziati andati in Russia e mai più tornati. Ricordava la fame, quello gli aveva lasciato la guerra. La follia della guerra. La radio di notte che trasmetteva i messaggi, i bollettini, le parole di incitamento a resistere. Lo aveva fatto tutta la vita. Non guardava più i telegiornali. A che servono le solite polemiche e la gente urla. Sempre. E il suo udito si era fatto delicato. Preferiva il silenzio del fiume che scorreva verso il mare.
“Nonno da grande voglio fare il soldato”
“Perché?”
“Così anche io faccio la guerra e vado a sparare”
“E se poi ti fanno male?”
Il ragazzino sulla riva del fiume rimase pensieroso. “Mi aiuti tu e la nonna”.
“Ma noi non ci saremo per sempre, siamo vecchi”
“Cosa significa essere vecchi?”
“Significa ricordarsi tante troppe cose. E dimenticare tante altre cose ancora. Diventare vecchi significa diventare più saggi, più buoni. Significa ricordarsi sempre tutti i sacrifici fatti, e sapere da dove viene casa tua, da dove viene la tua terra, da dove viene l’aria che respiri liberamente”.
“Ma tu dici che i vecchi sono rincoglioniti”
“Non si dicono queste parole!”
“Ma tu lo dici sempre”
“Hai ragione, vedi diventare vecchi è bello quando non si diventa adulti”.
“Gli adulti sono cattivi?”
“No, banali. Cercano di cambiare la storia, i ricordi, giustificano tutto, imbrogliano anche se stessi. Per poi sorprendersi quando sopraggiunge la morte che li porta via. Ma ora andiamo si è fatto tardi, dobbiamo tornare a casa”.
“Va bene”
I’anziano con la barba bianca sentì la mano fragile del nipote chiudersi trai suoi calli. Pensò al Ponte di Bailey. Sarebbe andato ad Alfonsine a vederlo. Chissà se gli avrebbero permesso di passeggiare sul quel ponte. Per un attimo immaginò piedi di giovani che lo attraversavano. Uccisi da una pallottola del nemico tedesco. Morti con lo sguardo consapevole di non si è fatto sorprendere dalla morte. Perché non erano adulti, ma giovani. E hanno cambiato la storia.

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