La prima volta che conobbi il 25 aprile (24/04/2010)

La prima volta che conobbi il 25 aprile da vicino ero grande, avevo sui vent’anni, me ne parlava spesso Leno Casadio, un partigiano comunista, e un prete partigiano, Don Stefano Casadio, che salvarono Cotignola dagli ultimi bombardamenti.
Si rivolgevano a me giovane militante dell’antifascismo, quasi per consegnarmi il testimone della passione per la libertà e i valori della Resistenza.
Quel racconto negli anni settanta era forte, e si svolgeva dentro una trama politica, in cui i partigiani apparivano degli eroi agli occhi dei giovani. Avevano avuto, infatti, il coraggio di prendere le armi per la libertà. Questa trama si intrecciava con il racconto risorgimentale, dei Garibaldi, dei Silvio Pellico, dei Mazzini. Riproponeva l’idealismo dei gesti.

Mia babbo mi aveva raccontato il fascismo e la guerra non come racconto politico, ma come la perdita della sua vita. Soleva sempre dire, maledicendo Mussolini, dei sette anni di guerra che gli avevano rubato la gioventù.
Poi ci fu il racconto della guerra e del Fronte del mio paese, Cotignola, il più distrutto di tutta la provincia di Ravenna, per sei mesi schiantato da un Fronte inutile.
C’era una trama politica ideale e l’emozione dei racconti, ancora vicini.

Questa idea l’ho ascoltata riproposta mille volte, in mille manifestazioni a cui ho partecipato.
L’ho poi riascoltata all’inizio del 2000 attraverso le parole di mia figlia che si portava a casa le ricerche e i racconti sulla guerra, l’antifascismo, la storia del suo paese.
Mi sono sempre chiesto quale fosse la trama narrativa per raccontare un ideale.
Nel nostro tempo senza memoria, è molto difficile parlare dei valori della Resistenza, 65 anni dopo.
Mia figlia ha vent’anni ed è nata con la caduta del Muro di Berlino. Le notizie e la colonna sonora del suo tempo sono state contrassegnate dalla caduta dei regimi comunisti illiberali.
Mentre lei cresceva l’antifascismo è diventato un libro di storia sbiadito, a volte spiegato male.

Un professore, durante la nostra camminata del Senio, mi ha raccontato che nella scuola media superiore dove insegna, prima del 25 aprile, ha chiesto alla classe: “che data è il 25 aprile? Da dove nasce?" Un’allieva ha alzato la mano ed ha detto: “Professore, io lo so. E’ la data che ricorda la liberazione dal comunismo.”
Mi ha fatto parecchio riflettere questa risposta.
A casa mia, che non si parlava tanto di politica, avrei saputo rispondere a sei anni.
Adesso non è più così facile.

Come possiamo passare il testimone? E per quali valori del futuro?
Forse, dobbiamo attivare il terzo orecchio per stabilire un confronto con chi è ragazzo adesso.
Quel 25 aprile è troppo distante se raccontato con la sola retorica delle Istituzioni, in un’epoca in cui la memoria più importante è la RAM del computer.

Il 25 aprile va promosso, con entusiasmo, come festa di tutta la nazione, a cui ognuno può dare il suo valore di Liberazione, con le emozioni di libertà, di giustizia e di solidarietà che questo tempo ci richiede.
Occorre sapere scrivere, però, un’altra trama narrativa per raccontarlo, soprattutto per fare nascere un racconto con le parole dei giovani.
E’ aperto il dibattito, si diceva un tempo.
Noi, del Senio della Memoria, ci proviamo.

Mario Baldini